Gaggi o Kaggi (Messina) | | | |
| Esistono alcune ipotesi sull’etimologia del nome originario di Gaggi, "Kaggi". Quasi tutte concordano sulla derivazione araba del termine, come per certi versi lo stemma del comune lascia presupporre, dato che si tratta di un castello su cui si erge una torre sormontata da una cupola di stile saraceno. Difatti, fondandosi su un’analisi linguistica e filologica del vocabolo, secondo una tradizione che sembra prevalere e che si fonda sul Saggio di etimologie siciliane di Giuseppe Gioeni, edito a Palermo nel 1885, Kaggi sarebbe una contrazione del termine arabo Kaligi, che significherebbe rivolo d’acqua o Torrentello: da qui infatti Ga(li)ggi e quindi Gaggi. A dare conforto a questa tesi, ma spostandone lievemente l’etimologia, è lo storico messinese Domenico Puzzollo Sigillo, che nei primi anni del Novecento in un lessico toponomastico riguardante la Sicilia sostiene che Gaggi derivi dall’arabo Karigi, che significa Canale d’acqua. Come è evidente si tratta di ipotesi che tentano di legare il nome all’ubicazione del paese nella valle dell’Alcantara, ricca d’acqua. Altre notizie sull’etimologia non se ne hanno. Sfogliando infatti il Vocabolario siciliano etimologico, italiano e latino dell’abate Francesco Pasqualino, pubblicato a Palermo dalla Stamperia Reale nel decennio 1785-1795, al secondo tomo troviamo che alla parola Gaggi viene rilevato, in un sol rigo, che si tratta di "villa nella terra di Taormina", e indica come fonte l’abate benedettino Francesco Maurolico (1494-1575), autore del Sicanicarum rerum compendium, e il padre della moderna storiografia siciliana, il domenicano Tommaso Fazello (1498-1570), i primi scrittori siciliani di storia della Sicilia, che danno il nome latino di Gaggus. Questo nome latino, che contrasta con l’ipotesi araba del termine Kaggi, ritornerà nell’opera di Vito Amico. La storia di Gaggi infatti inizia dalle difficoltà finanziarie della monarchia spagnola, fa parte di quel processo di colonizzazione interna che interessò la Sicilia nel Seicento e che, in particolare, vide la città demaniale di Taormina essere alienata dai suoi casali, tra cui appunto Gaggi, della quale vendita fu interessato un agiato personaggio messinese, che fece la sua ascesa sociale mediante le sue ingenti possibilità economiche, comprandosi feudo e titolo nobiliare. Sappiamo infatti che nell’anno 1639“Giuseppe Barrile pel prezzo di 24.000 fiorini” acquistò “dalla Regia Corte” le terre di “Gaggi, Mongiuffi e Melia, sobborghi un tempo di Taormina”. Importante la precisazione: “poco dopo la dismembrazione di Gallidoro” dal territorio taorminese, l’altro paese che “per necessità del Regio erario fu alienata dal regio patrimonio, e venduta col titolo di Marchesato per la somma di 45.600 fiorini”. | |