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Spadafora (Messina)
 
 
 
 
 
 
 

 

 

   Il paese prende il nome da un nobile casato che ne conquistò il territorio nel 1459, ma le sue origini di centro abitato e di luogo di ferventi attività agricole, commerciali e marinare risalgono a tempi molto più antichi, ad insediamenti primitivi coincidenti con la nascita dell'agricoltura.

 

   La vocazione primaria di Spadafora divenne, ben presto, quella marinara. Sembra che la sua spiaggia fosse molto frequentata dai Fenici, data la sua posizione strategica tra Capo Milazzo e le coste calabre.

 

   Durante il periodo degli insediamenti greci, alla popolazione indigena si unirono gli elleni, creando un grosso centro sicilioto non molto distante da Imera, importante centro di cultura e di commercio fondato dai greci.

 

   Sotto i romani le vaste colture a grano scomparvero e la zona divenne quasi deserta. Patì, con il resto dei paesi del litorale tirrenico, le incursioni barbariche; poi conobbe una lunga fase pacifica nell'epoca bizantina. Il periodo più ricco per il territorio di Spadafora fu indubbiamente quello arabo. I fenici ed i greci avevano fatto di Spadafora un centro di cultura. Gli arabi lo portarono al massimo splendore e valorizzarono le campagne con la costruzione di acquedotti che trasportavano l'acqua dei torrenti nei campi coltivati.

 

   La città divenne anche un importante centro d'importazione delle mercanzie arabe.

 

   Con la dominazione normanna, Spadafora divenne il centro abitato di una baronia, elevata in seguito a principato sotto i principi Spadafora, che diedero anche il nome alla cittadina.

Con la dominazione sveva, Spadafora mantenne le caratteristiche dell'epoca precedente; la sua decadenza iniziò durante il periodo angioino.

 

   Nella lotta contro i francesi diede il suo contributo mandando numerosi volontari alla difesa di Messina. Come il resto della Sicilia decadde nell'epoca aragonese e del vicereame.

 

   A causa del trasferimento del principe a Palermo, allora luogo di delizie della nobiltà sicula, il suo vasto territorio fu affidato ai gabelloti, con conseguenze nefaste per l'agricoltura e per la vita sociale.

 

   Dopo il terremoto di Messina del 1783, gruppi di valorosi spadaforesi, via mare, portarono aiuto al capoluogo.

 

   Da quanto si è potuto rilevare dagli archivi comunali, risulta che Spadafora si costituì a comune autonomo nell'anno 1817; prima di allora era una frazione di San Martino (diventato oggi frazione del Comune di Spadafora). Il primo registro dello Stato civile del Comune risale, infatti, proprio al 1817.

 

   Nel 1848 anche Spadafora contribuì al tentativo di liberazione dalla tirannide borbonica. Durante la notte del 28 gennaio una squadra a cavallo e bene armata di "picciotti", guidata dai maggiorenni del paese, fu inviata a Messina, dove si distinse in estenuanti giornate di battaglia fino allo sfortunato epilogo che vide la caduta di Messina, il 7 settembre 1848.

Tra i cittadini di Spadafora si distinsero il dott. Antonino Giunta ed il patriota Francesco Maniscalco.

 

   Nel 1860, dopo lo sbarco di Garibaldi, giovani volontari spadaforesi si nascosero in un luogo tra Santa Lucia del Mela e San Filippo, aspettando l'esercito garibaldino, nel quale si arruolarono, partecipando alla grande battaglia di Milazzo il 20 luglio 1860, che aprì la via all'unità d'Italia.

 

   Al centro della città di Spadafora sorge l'omonimo castello, la cui struttura si fa risalire alla seconda metà del sec. XV. In origine, secondo alcuni, fu solo una torre di avvistamento, avamposto del castello di Venetico, posto in collina e dimora del feudatario. La fortificazione è chiamata anche Castello Samonà, in ricordo dei suoi ultimi proprietari, titolari anche dello stesso castello di Venetico, ridotto oramai a rudere. La leggenda vuole che un passaggio sotterraneo segreto mettesse in comunicazione le due fortificazioni, permettendo il passaggio di soldati e prigionieri. Carmelo e Caterina Samonà, a questo proposito, a seguito della distruzione del Castello di Venetico durante il terremoto del 1908, trasferirono quanto era rimasto intatto nel vicino castello di Spadafora, salvandolo da sciacalli e dalle intemperie.

 

   Probabilmente la torre fu ampliata o ricostruita intorno al '500 dall'architetto fiorentino Camillo Camilliani, divenendo quel castello di cui rimane oggi solo la parte centrale, che rappresenta il più importante patrimonio artistico-culturale di Spadafora. Il castello venne restaurato una prima volta nel '600. I quattro imponenti speroni angolari a forma trapezoidale sono contornati, nella parte superiore, da caratteristiche merlature, nei cui interspazi venivano piazzate le bocche dell'artiglieria. Nelle estremità angolari di ciascun sperone si ergono le casematte, a protezione dei soldati di guardia. Le feritoie sottostanti venivano usate come saetterie in occasioni di assalti al castello. Il fossato che lo circonda è ancora oggi contornato da un robusto muro di cinta.

 

 

 
 
 
 

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