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    Le grotte dell'Etna

 

   Sull’Etna sono state censite circa 250 cavità, le cui dimensioni in lunghezza variano da pochi metri ad oltre un chilometro, si stima che ne esistano almeno altrettante, situate nelle aree meno frequentate del vulcano, ancora sconosciute agli speleologi, cioè a chi da molti anni si occupa del loro censimento e del loro studio.

 

   Le grotte dell’Etna sono note da tempo immemorabile, al punto che sono entrate anch’esse, a buon diritto, nel mito. La grotta in cui la leggenda vuole che abitasse l’orrido Poliremo, raggirato da Ulisse e respinto dalla bellissima ninfa Galatea, era situata verosimil-mente sulle basse pendici sud orientali dell’Etna.

 

   In epoca classica, alcune grotte situate nei pressi di Catania (Grotta della Chiesa - San Giovanni Galermo, e Grotta di Santa Sofia) sono legate al mito del “ratto di Proserpina”.

 

   Certamente furono utilizzate dall’uomo durante l’età del bronzo (circa 4000 anni or sono), come abitazioni, ricovero per gli animali e luogo di sepoltura per i propri defunti, così come risulta dai numerosi ritrovamenti effettuati allo interno di molte cavità situate in colate preistoriche, nelle basse pendici del vulcano.

 

   Molte sono anche le grotte dell’Etna legate a storie di tesori incantati e di briganti, cavità in cui l’immaginario collettivo ha voluto relegare le cosiddette “truvature”, ovvero nascondigli di piccole fortune, nascoste da fuggiaschi o da briganti, ma sempre legate ad un sortilegio realizzato con l’uccisione di una persona, come il caso della Grotta della Catanese (Ragalna) o della Grotta d’Angela (Ragalna-Belpasso).   In altri casi, la grotta diventa luogo d’eventi straordinari a sfondo religioso, come a Randazzo in cui, in epoca bizantina, in una grotta fu ritrovato un vecchio affresco detto della Madonna di Pileri. La grotta, oggi scomparsa, è da alcuni ritenuta sepolta sotto l’attuale Basilica di Santa Maria, costruita nei primi anni del XIII secolo.

 

   Ma le grotte etnee furono anche luogo di meditazione per eccellenza. La loro predisposi-zione ad accogliere, isolare, favorire il distacco della mente dal corpo, era ben nota agli eremiti.

 

   Indicativo è il caso di San Nicola Politi, nato nel 1117 da una nobile famiglia adranita, che all’età di diciassette anni, fugge dalla casa paterna la notte che precede le sue nozze, imposte contro la sua volontà dalla famiglia, e si rifugia in una grotta del territorio di Adrano, in contrada “Aspicuddu” oggi nota come Grotta del Santo. Qui vi rimase per ben tre anni (dal 1134 al 1137), in penitenza e preghiera, fino a quando, temendo di essere raggiunto dai suoi genitori si trasferì in un altro eremo, situato sul monte Calanna di Alcara Li Fusi (provincia di Messina), dove visse fino alla morte, avvenuta il 17 agosto del 1167.

 

   Le grotte vulcaniche dell’Etna costituiscono dei monumenti straordinari della natura, stret-tamente legate alla storia delle eruzioni che le hanno sempre generate, e parte integrante del paesaggio vulcanico di superficie; l’uso pastorale di alcune grotte vulcaniche ha tradizioni antichissime che, in alcuni casi (Grotta delle Balze Sottane - Maniace), si perpetua ancora oggi.  Un particolare tipo di utilizzo di alcune grotte etnee di montagna, è quello che le ha viste adibite a neviere. Il commercio della neve è stato molto fiorente sull’Etna fino al momento della comparsa delle prime macchine industriali per la produzione del ghiaccio e, successivamente dei frigoriferi domestici. La neve dell’Etna giungeva, infatti, nelle calde estati mediterranee, fino a Malta e nella parte meridionale della penisola.

 

   Tra le più note cavità utilizzate in passato a questo scopo sono le Grotte di Case del Vescovo (comune di Zafferana Etnea) e la Grotta della Neve o dei Ladri (comune di Sant’Alfio). Di quest’ultima cavità esiste un dipinto di J. Houel, denominato “Grotte a la neige” (Grotta della neve), conservato all’Hermitage di Pietroburgo, che raffigura la sala principale sottostante uno degli ingressi della cavità con degli uomini in procinto di portare in spalla grandi blocchi di ghiaccio opportunamente coibentati con foglie e sacchi di juta (vedi anche: Dentro il Vulcano, 1999 - del Centro Speleologico Etneo).

 

   Oggi le grotte sono note quasi esclusivamente a pochi appassionati del nostro vulcano, escursionisti e speleologi; questi ultimi si occupano ormai da diversi anni del loro censimento e della loro salvaguardia, promuovendo iniziative culturali e di protezione.

   Una maggiore consapevolezza da parte del comune cittadino dell’esistenza di questo patrimonio presente nel territorio etneo contribuirebbe sicuramente ad avere più attenzione nei confronti di questa realtà.

 

   Da qui nasce la necessità di divulgare la conoscenza di questo bene ambientale unico, straordinario crocevia d’interessi storici, archeologici, geologici ed etno-antropologici.     

da Le grotte dell’Etna di Francesco Cavallaro