Niscemi - Caltanissetta Il paesino sorge su di un'ampia e pianeggiante collina a 330 metri sul livello del mare e mostra un aspetto piuttosto moderno per l'impianto a scacchiera dei suoi caseggiati, isolati da larghe vie ortogonali. Domina un bel panorama dal declivio ondeggiante dei monti Erei scende al mare africano per risalire, oltre la valle dell'Ippari. Dal Belvedere spazioso terrazzo di circa 500 metri quadrati che si protende sui campi geloi, coltivati nella loro quasi totalità dai niscemesi, a frumento e carciofi, si gode la vista dell'Etna, di Mazzarino con il singolare Monte Formaggio, di Butera, famosa fortezza Arabo-Normanna, di Gela, superba del suo antico splendore. Incantevole è il clima. La temperatura d'inverno raramente si abbassa di poco sotto lo zero. L'inverno è una primavera continuata. L'estate è in qualche giorno, quando spirano i venti di scirocco, insopportabile. Ma essi sono fortunatamente di breve durata allora il fresco vento di ponente prende il sopravvento e l'area diventa soave. La salubrità del clima e la feracità della terra vi hanno favorito una persistente linea ascensionale di addensamento demografico. Il centro storico, nucleo della vita cittadina è rappresentato dalla settecentesca Chiesa Madre, Santa Maria d'Itria, con la sua pianta basilicale, a tre navate, in stile barocco, dalla Chiesa Maria Santissima dell'Addolorata, anch'essa in stile barocco con pianta ottagonale e con volta a crociera, con l'antistante Piazza Vittorio Emanuele III° e il Palazzo Comunale, che rappresenta un elegante esempio di architettura fiorentina del Rinascimento classico. A breve distanza sorgono altre chiese minori dedicate a Sant'Antonio da Padova, alla Madonna delle Grazie, San Giuseppe, Anime Sante del Purgatorio e sino a prima dell'evento franoso del 12 ottobre 1997, la chiesa delle Sante Croci. A breve distanza dalla piazza sorgono le chiese di San Francesco d'Assisi con adiacente Santuario della Madonna del Bosco. L'agricoltura è caratterizzata dalla coltivazione estensiva a frumento e carciofi, assieme alle coltivazioni in serre, costituisce la maggiore risorsa economica di Niscemi. Nessuno o poco interesse per il turismo. Fin qui l’armoniosa sintesi di “spazioniscemi” che con un flash ci porta dentro una Niscemi quasi sconosciuta ai distratti lettori delle cronache giornaliere. Noi vogliamo dare di più e dare un significato a tutto quello che insiste nel territorio che ha conosciuto miscellanee di dominazioni e culture. Toponimo di Niscemi. Sull'origine del nome sono state formulate varie ipotesi. Secondo alcuni documenti il nome del feudo su cui fu costruito il borgo ha sempre avuto nome Niscemi: in alcuni documenti antichi, tale nome è riportato in latino come Nixenum, ma fu anche chiamato Nixima e successivamente Niscimi. Secondo questa teoria il nome è di derivazione araba ed è dato dalla composizione di Ni che è quasi certamente la contrazione dell'arabo beni che vuol dire uomini e scemi che significherebbe siriani. In virtù di queste considerazioni, secondo gli studiosi, Niscemi potrebbe così significare Uomini Siriani o Gente Siriana. Origini: Wikipedia offre una dettagliata argomentazione sulla trasformazione politica del territorio, evidenziando i vari passaggi delle baronie locali ma tralasciando la parte che meriterebbe più approfondimento ovvero: quella che riguarda i Sicani prima e i Siculi dopo. Un’attenta anastilosi dei luoghi che hanno ospitato popoli antichi sarebbe di sicuro impatto ai fini turistici in una parte della Sicilia in cui ogni angolo, ogni anfratto ha una sua storia da raccontare. Gli studi condotti dal prof. Enrico Caltagirone sui Siculi e loro insediamenti danno spunti di interesse vastissimo da ampliare anche con l’ausilio di ricostruzioni virtuali eventualmente da convertire in vere e proprie anastilosi. Noi pensiamo ad un’offerta turistica che comprenda i contenuti di un parco a rete archeologo, paesaggistico, naturalistico e culturale. La presenza di insediamenti umani nel territorio di Niscemi, risale all'epoca neolitica, in particolare tra il III ed il II millennio a.C., come testimoniano dalla presenza di numerose tombe a forno scavate nella roccia. Tracce attribuibili alla cultura sicana risalgono, invece, ad un periodo risalente alla prima età dei metalli. Si trattava, principalmente, di piccoli villaggi che vivevano di caccia e agricoltura e che vivevano in capanne di paglia. Durante questo periodo erano diffuse l'industria litica, ceramica e quella relativa alla produzione di utensili di uso quotidiano. Successive testimonianze di insediamenti nel territorio di Niscemi si possono ricostruire grazie alla presenza delle necropoli con le tombe a tholos e a forno nel periodo castellucciano, risalenti al XIII secolo a.C. durante la tarda età del bronzo. A conferma di ciò, un passo del secondo volume del Dizionario Topografico della Sicilia, redatto da Vito Amico, riporta: «sia nei fianchi che nelle falde del colle occorrono sepolcri anche per corpi giganteschi, monete di ogni metallo, vasi, lucerne, ampolle, e più di un pavimento saccheggiato coll'epigrafe Alba si è rinvenuto». Durante questo secolo i villaggi castellucciani si trasformarono progressivamente in insediamenti fortificati, probabilmente a causa dell'avvento dei siculi, che costrinsero gran parte delle popolazioni più pacifiche a spostarsi verso territori più tranquilli. A partire dal VII secolo a.C., successivamente all'insediamento dei coloni rodio-cretesi nel territorio di Gela, le campagne del territorio niscemese furono occupate per poter essere coltivate intensamente: sorsero numerose fattorie, i terreni furono lottizzati e le risorse naturali sfruttate al massimo. Tuttavia, a partire dal V secolo a.C., in seguito alla seconda invasione cartaginese, la relativa tranquillità degli insediamenti nel territorio di Niscemi, fu sconvolta e molti abitanti furono costretti a fuggire e ad abbandonare le loro fattorie. Nel III secolo d.C. la vasta plaga, situata circa ad un chilometro ad occidente del centro abitato odierno, compresa tra il fiume Achates ed il fiume Gela, fu assegnata al patrizio Calvisio e prese il nome di Plaga Calvisiana. Sorse un fiorente villaggio che sopravvisse fino al IX secolo d.C., quando gli arabi lo distrussero definitivamente. Successivamente gli arabi costruirono un borgo fortificato sulla collina dove sorge l'attuale centro abitato e vi diedero il nome Fata-nascim (passo dell'olmo), accorciato in un successivo momento in Nasciam. Durante l'occupazione araba il regime della proprietà fondiaria ed i sistemi di coltivazione della terra cambiarono radicalmente: i vasti latifondi furono suddivisi in piccoli lotti, eccetto per le proprietà demaniali, la coltivazione dei cereali e la pastorizia furono ristrette solo ai terreni adatti, si provvedette alla ripopolazione del manto boschivo, si intensificò la produzione di olio e si introdussero le coltivazioni di carrubbo, gelso, pistacchio e nocciolo. Nella metà del XIII secolo, tuttavia, a causa delle lotte interne tra musulmani e normanni, la cittadina fu completamente distrutta e i suoi abitanti furono costretti a fuggire in cerca di un luogo più sicuro dove vivere. A seguito della conquista normanna, il nome della città divenne, con diploma del 1143, Nixenum. Diventato un feudo rustico il territorio subì radicali mutamenti fin quando, nel 1324, un ramo della famiglia Branciforte, si trasferì da Piacenza in Sicilia (XIII secolo) e comprò la terra di Nixenum. Ma la tradizione fa risalire la nascita del paese al racconto che nel 1599, Andrea Armao, un pastore del bosco di Santa Maria (che divenne poi il nome della città), avesse smarrito un bue, di nome Portagioia, e, dopo averlo cercato invano nella boscaglia, lo trovò chino davanti a una fonte di acqua dove vi era l'immagine di una Madonna, secondo la leggenda dipinta da mani angeliche su una tela di seta. Lì venne costruita una chiesa che rappresentò il centro del piccolo nucleo di abitazioni. Anche in tempi attuali, nonostante la posizione in periferia, la chiesa ricopre una notevole importanza simbolica per gli abitanti di Niscemi. Nel 1626 donna Giovanna Branciforte, a nome del figlio Giuseppe Branciforte Barrese, prese possesso della baronia di Niscemi. Due anni dopo, per far conferire i titoli nobiliari al figlio Giuseppe Branciforte Barrese, chiese ed ottenne dal cardinale Giovanni Doria la licentia populandi del feudo di Niscemi. La neonata baronia di Niscemi era costituita da quattro feudi, anche se taluna documentazione ne riporta l'esistenza di quattordici. Il centro del borgo fu scelto vicino al bosco di Castellana, ove la leggenda narrava del ritrovamento del quadro della Madonna. Le strutture pre-esistenti, a causa delle precarie condizioni economiche, non furono distrutte, ma riutilizzate. Non fu costruito un castello, ma si scelse di adoperare, come avamposto di difesa, una torretta sita in contrada Castellana. Nel 1640 Giuseppe Branciforte Barrese decise di dare un nuovo assetto urbanistico al borgo, disegnando una nuova planimetria secondo le pratiche urbanistiche del tempo, che prevedevano la presenza di una piazza centrale in cui emergeva la Chiesa Madre. Nel 1693 il terremoto del Val di Noto, che distrusse buona parte della Sicilia orientale, danneggiò buona parte del borgo di Niscemi, pur non provocando vittime. Si rese necessaria la ricostruzione di gran parte dell'abitato, tuttavia la planimetria non mutò, ma le principali chiese furono ricostruite nel luogo originale di edificazione. Il Palazzo di Città, costruito su di un precedente fabbricato adibito a Cancelleria comunale, fu progettato dall'architetto Rosario Crescimone e realizzato dai fratelli Barbagallo. Si presenta come un blocco compatto e ben definito, sobrio ed equilibrato è dotato di un portico a tre arcate. Tutte le decorazioni del prospetto sono state realizzate in pietra di Pilacane. Palazzo Branciforte, fu costruito nel 1824 ed è il più antico edificio civile sopravvissuto. Fu fatto realizzare da Margherita Branciforte, duchessa di Mondragone, giunta a Niscemi nel 1821. È ben definito, caratterizzato da paraste angolari ed a muri perimetrali lisci in pietrame informe. Palazzo Masaracchio, edificato nel 1840, è sito nell'attuale via Regina Margherita, un tempo via Sante Croci. È caratterizzato da una facciata scandita da un ordine unico di paraste su alti plinti, balconi sorretti da mensoloni con decorazione fitomorfa e un fregio sul portone di ingresso. Palazzo Malerba, sito nella stessa via di Palazzo Masaracchio ed edificato pochi anni prima, nel 1835. Oggi è presente solo la facciata settentrionale, in quanto la parte dell'edificio che sporgeva su Via Regina Margherita, fu demolita nel 1966 per realizzare un parcheggio. Sono presenti altri edifici storici di rilevanza culturale. Palazzi di interesse storico Palazzo Iacona-Giardini Palazzo Romano Palazzo Camiolo Palazzo Iacona-Castronovo Palazzo Iacona-Gallo Palazzo Saita (via Garibaldi) Palazzo della Pretura Palazzo Preti Palazzo Runza Palazzo Malerba (via IV novembre) Palazzo Vacirca Palazzo Saita (piazza Vittorio Emanuele III) Palazzo Samperi Palazzo Masaracchio (piazza Vittorio Emanuele III) Palazzo Gagliano (piazza Vittorio Emanuele III) Palazzo Le Moli (via Le Moli) Palazzo Gagliano (via Gagliano) Palazzo Cavalieri Palazzo Tinnirello Villa Vacirca Villa Camiolo Villa Iacona-Gallo Palazzo Conti Casa Guariglia Palazzo Preti - Buscemi (via Regina Margherita) Palazzo Malerba (via Buonarroti) Palazzo La Rosa Palazzo Spinello Palazzo Polizzi (via Samperi) Palazzo Costa Palazzo Buscemi (via XX settembre) Palazzo Polizzi (via XX settembre) Palazzo Fragale (via XX settembre) Palazzo Fragale (via Rossini) Palazzo Crescimone (via Umberto I) Palazzo Galasso Palazzo Buscemi (via Popolo) Palazzo Crescimone (via Umberto) Villa Samperi Casina Samperi Villa Gualato Palazzo Disca Casa Iacona Casa Stizza Casa Malerba Casa Masaracchio Casa Romano Villa Gioconda Villa Fragale Fontana Madonna SS. del Bosco Edifici di culto. La Chiesa Santa Maria D'Itria, sorgenella centrale piazza Vittorio Emanuele III. Ricostruita dopo il terremoto del 1693 a partire dal 1742 con il contributo della popolazione. Chiesa dell'Addolorata, fondata nel 1753, sul sito di una rusticana aedicula, ad opera dell'architetto calatino Silvestro Giugliara. La sua architettura si sviluppa intorno ad uno spazio centrale a forma di ottagono allungata a navata unica con portale ad arco. All'esterno esibisce un raffinato prospetti settecentesco della Sicilia barocca. Chiesa di Sant'Antonio da Padova, ricostruita anch'essa dopo il terremoto, a partire dal 1746, fu restaurata nel XX secolo. È una chiesa a navata unica, a pianta rettangolare, con campanile a torre (posto insolitamente nel lato posteriore dell'edificio) e sagrestia addossata. Chiesa Maria SS. della Grazia, edificata nel 1773, sorge ad ovest di piazza Vittorio Emanuele III e fu salvata dall'abbandono nel 1947. Fu edificata sui resti di una primitiva chiesetta rustica della Niscemi feudale per volontà del barone Iacona con il consenso del principe Ercole Michele Branciforte. Santuario Maria SS. del Bosco, sorge su resti di una piccola cappella distrutta dal terremoto. Fu edificato tra il 1749 ed il 1758 sotto la direzione del capomastro e architetto Silvestro Gugliara. La chiesa è ad una sola navata con pianta ellittica allungata, la facciata è in stile barocco e presenta un'equilibrata compostezza e sobrietà nelle decorazioni. Chiesa di San Giuseppe, costruita grazie alla contribuzione volontaria di tutta la popolazione, con pietra e calce ricavate dalle cave locali. Chiesa Anime del Purgatorio, realizzata tramite una cospicua donazione da parte della signora Gaetana Cona, presenta una pianta a forma di grossa tartaruga disposta in direzione ovest-nord-ovest. Chiesa Sante Croci, edificata sul luogo in cui sorgeva in precedenza una piccola cappella senza altare, fu dotata di un piccolo cimitero. Restò lesionata dallo sconvolgimento tellurico che colpì Niscemi nel 1790. Chiesetta Madonna dello Spasimo, situata all'entrata meridionale del paese venne fondata con il contributo generoso e l'impegno attivo di diverse persone. La facciata delle chiesetta è molto semplice, ma armoniosa e movimentata, racchiusa dalle paraste laterali che contengono il portale centrale in pietra locale ben lavorata con arco a tutto sesto. Chiesa San Francesco, costruita tra il 1732 ed il 1739, è caratterizzata da un'unica aula con volta a botte ed un presbiterio a crociera. Chiesa San Giuseppe d'Atanasio, realizzata nel 1915, in contrada Pilacane, è caratterizzata da un severo stile neoclassico in cotto. Si trova a circa due chilometri dal centro abitato di Niscemi. Convento di San Francesco, oggi sede dell'ospedale civile, conserva il chiostro originale a pianta quadrilatera, un pozzo centrale ed è caratterizzato dalla presenza di una successione di arcate sorrette da colonne di ordine ionico. Nota: Gli orditi dei palazzi hanno subito trasformazioni a causa dell’incuria e del tempo ma anche della poca cura per la storia da parte dei suoi abitanti. Il disegno originario ha così perduto il suo fascino ammaliatore di una concezione dell’arte che artigiano ed artista improvvisavano a seconda delle esigenze locali. Belvedere Il Belvedere (anticamente chiamato Tunnu) è una terrazza panoramica che offre una magnifica vista sulla piana di Gela e sulla vallata del fiume Maroglio. È uno dei più bei panorami della Sicilia. Fu costruito in stile barocco, all'inizio del XIX secolo, ed è a forma rotondeggiante contornata da ringhiera e panche in ferro battuto. Rappresenta la meta finale della passeggiata nel centro storico. Fu ricostruito nel 1921 a seguito delle lesioni riportate nel corso di uno smottamento. Siti archeologici In contrada Pitrusa, alle pendici di Niscemi, si trova un sito archeologico di epoca tardo antica. Sono stati ritrovati i bolli su anfora dei Praedia Galbana , poderi che appartenevano allo stato e che al loro interno erano stanziati magazzini annonari. Rimangono odiernamente i resti di una Mansio, ovvero una stazione di sosta (età imperiale), gestita dallo Stato per i viaggiatori. Accanto alla mansio sorgeva una stazione per il cambio dei cavalli. Si pensa esistesse un'antica strada, che portava alla contrada Piano Camera, altra zona archeologica. I recenti scavi archeologici hanno riportato alla luce un complesso termale, sempre in contrada Petrusa. Secondo gli archeologi sono ben visibili e riconoscibili il calidarium (parte delle terme destinate ai bagni caldi o ai bagni di vapore) con il forno di combustione, un vasto vano di tepidarium (parte delle terme destinate ai bagni tiepidi) e le suspensura (pilastri a base quadrata che fungevano da sostegno al pavimento) che spargeva il calore sotto il pavimento, potendo riscaldare così l'acqua. Sono presenti anche siti archeologici risalenti all'epoca arcaico-classica, tra l'ottavo ed il quinto secolo a.C., nelle contrade Castellana, Arcia e Iacolano, dove sono state rinvenute ceramiche che lasciano intuire la presenza di insediamenti umani dediti allo sfruttamento agricolo del territorio, reso possibile anche dalla presenza del vicino fiume Maroglio. Testimonianze di arcaiche forme di culto religioso sono state, invece, riscontrate a Pisciotto e Valle Madoni, oltre che nella stessa contrada Arcia, dove sono stati rinvenuti resti di antiche necropoli. Secondo molti studiosi, questi ultimi ritrovamenti fanno pensare che il territorio di Niscemi avesse raggiunto un buon livello di organizzazione urbanistica, caratterizzata sia dalla presenza di aree urbane che di aree extraurbane. Aree naturali Nel territorio di Niscemi è presente un'area naturale protetta della Regione Siciliana denominata Sughereta e riconosciuta di interesse comunitario dall'Unione europea. La Riserva sorge a 330 m s.l.m., nella parte meridionale dell'altopiano su cui si colloca il centro abitato e costituisce e, assieme al Bosco di Santo Pietro di Caltagirone, il residuo di quella che un tempo era la più grande sughereta della Sicilia centro-meridionale. Museo della civiltà contadina. Chi come Giovanni Valenti, il Prof. Angelo Marsiano e il Gruppo del Centro Culturale “Mario Gori”,voleva - con la realizzazione del Museo della Civiltà Contadina - portare a conoscenza delle giovani e future generazioni quelle che furono le condizioni e le abitudini di vita e di lavoro della gente di un tempo con lo scopo di valorizzarne la memoria storica attraverso la conservazione e la riappropriazione della cultura contadina, ci sono riusciti benissimo. Oggi grazie all’idea di Giovanni Valenti, puntualmente descritta nell’anno 1985 nel volume “Appunti per un Museo della Civiltà Contadina” e al Lions Club di Niscemi che con impegno ha concretizzato l’idea iniziale, il Museo della Civiltà Contadina è oggi per Niscemi una realtà di indubbia carica culturale. Il museo è nato perché molte persone hanno creduto in questo progetto e ciò è dimostrato dal fatto che tutto ciò che è ivi esposto è stato donato, restaurato e catalogato in forma assolutamente gratuita.
Certamente, alla nascita del Museo hanno contribuito Franco Mongelli e Totò Ravalli che, con il loro impegno, sono riusciti a reperire i numerosissimi oggetti ed attrezzi quali testimonianze della cultura contadina e delle condizioni economiche ed ambientali assai difficili che la caratterizzavano in tempi passati.
Nel Museo sono documentate anche le diverse attività artigianali locali con l’esposizione degli attrezzi da lavoro del contadino, del falegname, del fabbro, del maniscalco, oggetti di uso quotidiano e giochi dei bambini.
Gli oggetti sono raccolti e presentati sotto forma di laboratori, in modo che il visitatore possa meglio ricordare – immergendovisi – le attività del passato; diversi scorci sono stati ricreati, rispettando la disposizione originaria degli ambienti delle abitazioni contadine del tempo: angolo pranzo, angolo letto, cucina e stalla, cercando di rappresentare, nel modo più fedele possibile, l’ambiente quotidiano della vita dei nostri nonni. Annamaria Giugno - Fernando Preti. |