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    IL MISTERO DELLA LINGUA DEI SICULI E DEGLI ETRUSCHI

 

   Una sensazionale scoperta, di alcuni anni orsono, ha permesso di individuare finalmente l’origine delle popolazioni sicule, giunte intorno al XIII secolo a.C. nella nostra isola e precisamente nell’area orientale dell’isola. Come un effetto domino si è fatta luce anche sul cosiddetto “medioevo ellenico”, sui misteriosi popoli del mare citati negli annali egizi e sorprendentemente sul mondo degli Etruschi.

 

   Ancor prima di illustrare la incredibile scoperta, occorre precisare che i Siculi non appartengono né all’ecumene italica né alla koiné mediterranea o greca, persino la loro cladogenesi è da ricondurre al lontanissimo mondo orientale da localizzare tra le regioni del Punjab e del Gandaara ovverosia grossomodo tra il Pakistan e l’India.

 

   Nessuno tra i numerosi e seppur valenti ermenenti, epigrafisti, sostratisti, e glottologi ha saputo capire che lingua parlassero e da dove provenissero questi Siculi. Solamente il professor Enrico Caltagirone ha scoperto alcune glosse comuni, sia nella lingua sicula che in quella etrusca. Congiuntamente gli storici avevano indicato l’ultimo percorso dei Siculi facendoli discendere dalla regione latina-falisca quale ultima sede prima di giungere nella trinacria e, correttamente ne fissavano l’evento nel XIII secolo a.C. precisavano le aree di insediamento e localizzavano le tre etnie presenti a quel tempo nel modo seguente: gli Elimi nella cuspide trapanese, i Sicani nel centro dell’isola ed i Siculi nella parte orientale della stessa.

 

   Nulla aggiungevano e il mistero su chi fossero rimase insoluto per oltre trenta secoli. Il professor Caltagirone notò che le parole kri e khac, rispettivamente fare e desiderare ricorrevano nella iscrizione del mendolito ed in quella etrusca dello ariballos Pupè (un vasetto scoperto dal belga Pupè) facenti parte entrambe della lingua sanscrita, ovvero la lingua dei dotti del mondo indo-ario antico. Nella lingua sicula ed etrusca le parole differivano solamente nei suffissi ma   sostanzialmente le radici rimanevano le stesse.

 

    Partendo da questo presupposto ed esaminando una ventina di verbi più ricorrenti nell’uso quotidiano il prof. Caltagirone ebbe la certezza che le due lingue  erano apparentate fortemente e che etimologicamente erano riconducibili alla madre lingua sanscrita, in quanto conoscitore del sanscrito e dei dialetti i cosiddetti pracriti del mondo indo-ario.

 

   Con un impegno che dura da circa vent’anni il nostro conterraneo prof. Caltagirone, originario di Centuripe, ha decifrato le poche epigrafi sicule fino ad oggi rinvenute e tutti i documenti più importanti della lingua etrusca compreso il cosiddetto liber linteus meglio noto come le scritte delle bende della mummia di Zagabria.

 

   Da questi studi l’autore ha appurato la grande maturità dei Siculi e la loro straordinaria conquista spirituale in anticipo di qualche secolo rispetto a quello del mondo della Bibbia perché portavano il patrimonio del mondo dei Guru e dei sapienti orientali.

 

   Voglio citare l’epigrafe vergata su un coperchio spezzato di una sepoltura conservato in due pezzi nel museo di Adrano sta scritto: Dvi hiti mirukesh ais huya. Che vuol dire: per i due morti qui deposti invoca Dio; e una mano aggiunse la seguente pietosa aspirazione: Resesanires be.. ovvero: concedi ai resti di risorgere.

 

   La brevissima aggiunta supera ogni possibile immaginazione per potenza speculativa-teologica, che per quei tempi ma anche per i nostri è sconvolgente. Un’altra, dello stesso tema, testimonia l’altissimo livello culturale raggiunto dai Siculi, pari solamente a quello della civiltà etrusca ma, superiore a molte altre coeve, Grecia compresa.

 

   Come e perché queste popolazioni si mossero dalle loro zone nucleari per raggiungere il Mediterraneo e la Sicilia?

 

   Bisogna sapere che già nel neolitico intorno al 6500 a.C. esistevano grandi insediamenti protourbani molto popolosi, che contavano fino a 5000 abitanti come Gerico in Palestina Catal Uyc nella penisola Anatolica, Yarno in Mesopotamia e Mehrgarh nei pressi del fiume indo.  Quest’ultima contava addirittura 25.000 abitanti. Successivamente, intorno al 3000-2500, sorsero città ancora più grandi a noi note col nome di Harappa e Mohenjo Daro.  Ad un certo momento della loro storia queste splendide città furono abbandonate perché si ha la certezza  che le sorgenti dei fiumi sui quali sorgevano furono deviate verosimilmente da movimenti tellurici.

 

   Le migrazioni conseguenti, interessarono ad oriente la pianura Gangetica perché fertilissima e ad occidente le pianure del basso Duieper e del basso Volga attraverso le rive del mar Caspio. Successivamente alcuni gruppi si mossero verso il Caucaso e le regioni poetiche, altri attraverso l’Anatolia e quindi l’isola di Lemno - dove si è trovata una stele - per occupare la Grecia. Viceversa, alcuni, provenendo dall’Ucraina si affacciarono sul mare Adriatico percorrendo i Balcani. In breve tempo, in non più di cinquant’anni, occuparono tutte le città del tempo, quali Micene, Tirinto e altre coeve distruggendo ogni cosa.

 

   Insistentemente gli storici si sono chiesti, cosa sia avvenuto in quel tempo, ipotizzando persino rivolte di schiavi contro i padroni giungendo alla conclusione di un annientamento totale, come se fosse avvenuta una lotta di tutti contro tutti.

 

   Questi popoli, costituiti da coltivatori e da pastori, a contatto col mare appresero l’arte della marineria assurgendo a potenze marinare - dette talassocrazie – al punto tale da attaccare l’Egitto – i famosi popoli del mare. Gli Egiziani, però, prima con Mernepha e poi con Ramesse li sconfissero e li obbligarono a ritirarsi definitivamente nelle aree precedentemente occupate.

 

   Le testimonianze risultano scritte da Faraoni a Medinet Abu e a Karnak. Negli elenchi si individuano tra i tanti popoli aggressori i Sekelesh e i Tush. Una volta sconfitti tutti quei popoli si ristabilirono nelle regioni precedentemente occupate. E così i sardi in Sardegna, i peleset nella Palestina e via dicendo compresi i Siculi nella Sicilia orientale.

 

   Si ha la consapevolezza che i fatti andarono nei modi sopradescritti perché una folta schiera di archeologi ha individuato, e non da ora, le loro sepolture lungo gli itinerari anzicitati compresi i resti dei loro cavalli che già nel 4000 a.C. venivano adoperati per rapidi spostamenti – vedi i Kurgami.

 

   I nostri storiografi, per la prima volta, avevano dato notizia dell’uso del cavallo allorché si imbatterono in quel popolo noto con il nome di Hiksos, il quale nel 1700 a.C. grazie a questo prodigioso animale occupò l’Egitto.

 

   La veneranda lingua sanscrita si irradiò quindi per tutto il mediterraneo e l’Europa.

 

   Quella che poi sarà la parlata greca, latina, celtica e gotica molto deve a questa lingua madre. In queste lingue rimangono poche glosse relitte perché succes-sivamente quasi tutte le lingue antiche d’Europa s’incrociarono con altre nuove lingue.

 

   Così non è stato per l’etrusco ed il siculo perché sopravvissero in un’enclave ibernata.

 

   Accadde nell’VIII secolo che i calcidesi per primi si incontrarono e poi sottomisero i Siculi, imprestando per scopi commerciali il loro alfabeto modificato dal fenicio, cosicché per almeno tre secoli - dall’VIII° al V° - i Siculi scrissero i loro pensieri con la loro lingua per tramite i grafi greci.

 

   Nelle poche epigrafi rinvenute non si riscontra neanche una parola greca o latina ma solamente sanscrito al cento per cento.

 

   Gli Etruschi invece che sostarono nella penisola anatolica inquinarono la loro parlata originaria con parole semitiche.

 

   Vale per tutta la glossa “Haram” che vuol dire santuario.

   A cura di Elda e Alfredo Rizza - Enrico Caltagirone - Rosario Rigano