Articolo redatto il 16 Maggio 2017 Il punto di vista della genetica: Dal Caucaso al Mediterraneo: millenni di viaggi e migrazioni racchiusi nel DNA Un nuovo studio dell’Università di Bologna ha analizzato i marcatori genomici di un ampio campione di popolazioni della Sicilia e dell’Italia Meridionale, rivelando una fitta rete di scambi culturali a partire dalla prima colonizzazione del continente Dalle isole del Mediterraneo fino al Caucaso e al Medio Oriente, passando per i Balcani e la Grecia continentale. È un fitto reticolo di strade, rotte e incroci quello messo in luce da un nuovo studio dell’Università di Bologna che svela le tracce di millenni di storia nascoste nel patrimonio genetico mediterraneo. Finanziato dalla National Geographic Society e dal Progetto ERC Langelin, e coordinato da Davide Pettener, antropologo del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Alma Mater, lo studio ha analizzato i marcatori genomici ad alta densità in un ampio campione di popolazioni della Sicilia e dell’Italia Meridionale, rivelando una fitta rete di migrazioni e scambi culturali a partire dalla prima colonizzazione del continente.
Dalla ricerca – appena pubblicata su Scientific Reports – emerge infatti innanzitutto una base genetica comune che si estende dalla Sicilia a Cipro, passando per Creta e fino alle isole dell’Egeo e dell’Anatolia. Le popolazioni dell’Italia Meridionale sono insomma geneticamente più simili a quelle di queste isole mediterranee piuttosto che, ad esempio, agli abitanti della parte continentale della Grecia e dell’Albania. “Questa eredità mediterranea – spiega la ricercatrice Unibo Stefania Sarno, autrice principale dello studio – risale probabilmente ad epoche molto antiche, come risultato di una serie di migrazioni con picchi durante il Neolitico e l’Età del Bronzo”. Ma le “parentele genetiche” degli abitanti del Sud Italia si spingono ancora più verso oriente. Uno degli strati più importanti racchiusi nell’eredità genetica mediterranea indica infatti un importante contributo, durante l’Età del Bronzo, legato ad una “sorgente” fra il Caucaso e l'Iran settentrionale. Una rivelazione, questa, che apre un nuovo capitolo nello studio dei movimenti che hanno portato alla diffusione della famiglia linguistica più rappresentata in Europa: l'indoeuropeo. Fino ad oggi, infatti, si è pensato che l'indoeuropeo sia stato diffuso dai popoli originari delle steppe a nord del Mar Nero e del Mar Caspio (“Yamnaya”). Ma mentre l'arrivo di vaste migrazioni durante l’Età del Bronzo a partire dalle steppe ha in effetti lasciato chiare tracce nella genetica di molte popolazioni dell’Europa centro-settentrionale e nord-orientale, queste tracce sono quasi assenti nell'area mediterranea. “La presenza di lingue indoeuropee come l'italiano, il greco e l'albanese non è spiegabile con il solo contributo migratorio dalle steppe”, sottolinea Chiara Barbieri, ricercatrice presso il Max Planck Institute for the Science of Human History di Jena, e coautrice dello studio. “Altri eventi, come migrazioni lungo le coste mediterranee a partire dal Caucaso, devono quindi essere valutati”.
La grande biodiversità del patrimonio genetico dell’Italia meridionale racconta poi anche di fenomeni migratori più recenti, come nel caso delle minoranze etnico-linguistiche degli Arbereshe, dei Griki in Salento e dei Grecanici in Calabria. Gli Arbereshe, comunità di lingua albanese presenti in Sicilia e in Italia meridionale, risalgono a gruppi migrati dall'Albania all'Italia durante la fine del Medioevo e hanno mantenuto un’eredità genetica distinta rispetto alle popolazioni italiane circostanti, a testimonianza dell’origine balcanica recente. Nel caso delle enclave ellenofone della Puglia (parlanti Griko) e della Calabria (parlanti Grecanico), le caratteristiche genetiche suggeriscono invece una maggiore antichità di insediamento e una permeabilità culturale più alta con le popolazioni vicine. Il caso dei Griki del Salento, in particolare, mostra come nel corso del tempo eventi di flusso genico e di trasmissione culturale hanno avuto un ruolo importante nel loro processo formativo. E nelle comunità grecofone di Calabria, in Bovesia, si aggiungono anche effetti di isolamento geografico e di deriva genetica, oltre alle differenze linguistiche. Lo studio degli ‘isolati’ linguistici e culturali in Italia – spiega Alessio Boattini, antropologo dell'Università di Bologna – si è dimostrato particolarmente importante per comprendere determinate fasi della nostra storia genetica e demografica. I casi delle comunità di lingua greca e albanese dell'Italia meridionale aiutano a far luce sulla formazione di queste identità culturali e linguistiche, che partecipano in maniera determinante alla grande diversità genetica attualmente osservabile nel nostro paese”. “Nel complesso – sintetizza Davide Pettener, docente Unibo e coordinatore della ricerca – lo studio sottolinea come una sinergia tra i punti di vista genetico e culturale possa aiutarci ad ottenere una maggiore comprensione delle dinamiche che hanno contribuito alla formazione del nostro patrimonio genetico mediterraneo, specialmente in contesti in cui i contatti tra popolazioni sono stati vasti sia da un punto di vista geografico che temporale”.
“Futuri studi – aggiunge in conclusione la professoressa Donata Luiselli, co-responsabile del progetto – volti ad integrare dati provenienti da diverse discipline come la linguistica, l’archeologia e la paleo-genomica, con lo studio del DNA antico da resti archeologici, potranno espandere questi risultati fornendo nuovi tasselli per far luce sulla nostra storia biologica e culturale”. Non posso far altro che condividere quanto fin qui riportato dalla ricercatrice Stefania Sarno ma soprattutto le conclusioni della prof.ssa Donata Luiselli; il completamento delle ricerche deve avvenire in collaborazione tra archeologi, ricercatori, glottologi/linguisti, genetisti, paleontologi e perché no anche narratori che sappiano coordinare e assemblare quanto acquisito per meglio divulgarlo in favore di tutti. Un doveroso riconoscimento va’ attribuito, da parte di tutti, al prof. Enrico Caltagirone da Centuripe che ha speso, proficuamente per tutti, il suo prezioso tempo in favore dell’interpretazione di quanto possibile recuperabile delle tracce dei Siculi. Già nel suo libro, “La lingua dei Siculi” stampato nel 2005, e rivolto a tutti gli studiosi delle materie che ci permettono la ricostruzione della storia dell’uomo sul pianeta terra. Caltagirone mette ordine e in qualche modo collega le più autorevoli scoperte nel mondo archeologico degli ultimi tempi con l’ausilio della glottogonia e pure della linguistica. Caltagirone ha aperto la strada per ampliare la ricerca verso un ulteriore salto all’indietro nel tempo in un’epoca pre indo-iranica che potrebbe rivelare più interessanti scoperte per capire meglio le nostre origini. Nelle mie pubblicazioni e narrazioni ho privilegiato il lavoro di archeologi, glottologi e linguisti perché ho sempre ritenuto che le lingue e segni dei popoli siano la miglior trasmissione culturale ed esse segnano le tappe della storia e degli eventi che si succedono nel mondo da che esso esiste. |