Indoeuropei, la genetica conferma l’origine siberiana. La genetica ha offerto un sostanziale contributo alla ricerca della Urheimat, la patria ancestrale proto-indoeuropea, la cui ubicazione è rimasta a lungo misteriosa. Nel Paleolitico superiore, prima del massimo glaciale, le tribù dei cacciatori di mammut, definiti “antichi eurasiatici del nord” in un recente studio del genetista David Reich, si estendevano dai confini orientali d’Europa a Bering: questo popolo ha fornito un importante contributo tanto agli europei del Mesolitico, quanto ai nativi nordamericani al tempo della prima occupazione del Nuovo mondo. Il termine indoeuropei in realtà indica i popoli “parlanti” la lingua indoeuropea, non un’etnia definita, tuttavia la ricerca del nucleo umano originario che ha diffuso questo idioma e la cultura ad esso connessa ha sempre appassionato gli studiosi, non solo i linguisti, ma anche archeologi, antropologi e oggi genetisti. Nel corso del tempo sono state davvero molte le proposte più o meno scientifiche volte a individuare la patria rimasta a lungo misteriosa degli indoeuropei. La Urheimat (rosso), gruppo satem (rosa), gruppo centum (blu) Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento era diffusa la convinzione che provenissero dall’area scandinava e germanica stanziata attorno al Baltico, abbandonata alla fine del cosiddetto “optimum climatico” oltre 6000 anni fa per dare il via alle calate. Alcuni ricercatori dell’epoca, come l’olandese naturalizzato tedesco Herman Wirth, si spinsero ancora più a nord, individuando la Urheimat nelle terre artiche prima del massimo glaciale, ipotesi sostenuta anche da alcuni studiosi di tradizioni sacre, come l’indiano Bal Gangadhar Tilak e l’italiano Julius Evola, sulla base delle immagini “polari” contenute nei testi antichi indoeuropei. Nel corso del XX secolo la lituana Marija Gimbutas formulò la famosa ipotesi kurganica, che associava gli indoeuropei alle invasioni dei pastori guerrieri della cultura Yamna, stanziata a nord del Mar Nero, una migrazione avvenuta in tre ondate tra il 4400 e il 2900 a.C. Un’altra importante ipotesi è quella proposta da Colin Renfrew, che alla fine degli anni ‘80 teorizzò una indoeuropeizzazione pacifica dell’Europa a partire dal 7000 a.C., da parte degli agricoltori neolitici dall’Anatolia. Lo studio interdisciplinare ha dipanato i dubbi, evidenziando come un po’ tutti abbiano individuato almeno una delle tessere necessarie a comporre il mosaico. I siti abitati all’estremo nord durante il Paleolitico Intorno a 20 mila anni fa, la recrudescenza del freddo del cosiddetto massimo glaciale ha costretto i cacciatori siberiani, stanziati da Sungir a Mal’ta e anche oltre il circolo polare, ad abbandonare la loro terra ancestrale in favore di “rifugi” a latitudini più basse. Il ramo più occidentale di queste genti si è concentrato nelle steppe a nord del Mar Nero e del Mar Caspio, la famosa area kurganica, dando origine a quella che noi oggi chiamiamo cultura indoeuropea. Gli indoeuropei possono essere divisi in due macrogruppi, quelli parlanti lingua satem e quelli di lingua centum, distinzione convenzionale basata sul nome attribuito al numero 100. Questa biforcazione corrisponde anche a sottili differenze genetiche e morfologiche dei due gruppi. I primi sono i cosiddetti “ariani”, i cui discendenti oggi sono diffusi soprattutto su una direttrice obliqua, che parte dalla Scandinavia, passa per l’area slava e raggiunge l’Iran e il nord dell’India. Durante l’età dei metalli, la migrazione ariana dalle terre ucraine dei Kurgan portò verso nord le culture della Ceramica cordata o dell’Ascia da combattimento, in Pakistan e in India le tribù degli Indoari, in Medio Oriente gli Indoiranici e in Grecia i Micenei, eccetera. La visione ormai superata dell’origine baltica degli indoeuropei L’altro macrogruppo indoeuropeo, definito “danubiano”, oggi domina l’Europa atlantica, centrale e mediterranea, sostanzialmente discende da una popolazione che si è espansa nel continente durante l’età del Bronzo, partendo da sud-ovest del Mar Nero e dall’area anatolica, risalendo dalle terre danubiane e dando poi origine alla cultura del Vaso campaniforme, successivamente a quella dei Campi di urne e a popoli storici come Celti, Latini e Dori. Nell’Europa centrale, tra le tribù germaniche, si è realizzato il massimo connubio tra le due varianti della grande famiglia. Le popolazioni entrate in contatto con questa cultura ne hanno adottato lingua e usi (oltre al patrimonio genetico, a partire dall’estrema depigmentazione), ma a loro volta hanno localmente influenzato i costumi degli invasori, come nel caso dell’eredità culturale megalitica rintracciabile tra i proto-Celti o di quella dravidica assorbita dagli Indoari. La teoria kurganica I cosiddetti aplogruppi sono marcatori genetici che consentono di ricostruire le linee ancestrali di un popolo per via materna o paterna: i discendenti degli “ariani” si caratterizzano per l’aplogruppo paterno R1a, mentre i discendenti dei “danubiani” per l’aplogruppo R1b (nella Siberia asiatica e tra i nativi americani è invece diffuso l’R2). Il popolo associato all’R1b è il più problematico, poiché questo aplogruppo trova la massima concentrazione sulle coste atlantiche: molti pertanto ne hanno messo in dubbio l’origine orientale, preferendo pensare ai rifugi glaciali dell’Europa occidentale. Del resto, lo stesso David Reich ha riscontrato la presenza dell’R1b nell’ovest europeo già a partire dal Mesolitico, millenni prima dell’espansione della cultura Yamna o di quella del Vaso campaniforme. Tuttavia, un’importante enclave di questo gruppo comapre anche in Oriente, ma resta disgiunta dai “fratelli” europei in quanto tagliata fuori dalla migrazione ariana verso l’India. L’aplogruppo R1b era diffuso anche in Russia e Siberia meridionale, tra gli Hittiti, i Mitanni e vari popoli stanziati nel Levante, nel Caucaso e in Anatolia. Era presente in molti “fortini” centro-asiatici lungo la direttrice ovest-est (Turkmenistan, Tajikistan, Afghanistan, Iran, Pakistan, India del nord), arrivando sino in Nepal e in Cina, si pensi ai famosi Tocari e alle mummie indoeuropee del Tarim. L’Europa mesolitica secondo gli studi del genetista Reich Per armonizzare queste informazioni e tracciare una possibile rotta delle migrazioni, si può ritenere che gli antenati del gruppo centum, intesi come propaggine meridionale dei proto-indoeuropei stanziati all’estremo nord, siano stati i primi ad abbandonare le steppe siberiane, andando ad occupare il sud-ovest europeo, le aree mediorientali e centro-asiatiche in epoche assai più remote di quanto ritenuto in precedenza. Si suppone siano anche stati i primi ad addomesticare gli animali durante il Neolitico, per supplire alla progressiva scomparsa della grande cacciagione pleistocenica. Se l’invasione indoeuropea sia stata violenta o pacifica è tutto da determinare, probabilmente sono vere entrambe le soluzioni. Va però ricordato che gli autoctoni europei, portatori degli aplogruppi paterni del Mesolitico, sono stati quasi completamente cancellati. Secondo quanto oggi scoperto: L’Homo sapiens lavorava sempre la pietra per ottenere soprattutto lame ed inoltre utilizzava materiali come ossa, corna di animali (avorio) per creare raffinati manufatti. Le tecniche di caccia vennero perfezionate: tra le armi più comunemente usate vi erano ancora le lance (con punte non solo di pietra, ma anche di osso o di avorio), zagaglie (arma primitiva simile ad una lancia piccola e leggera), arponi (utilizzati esclusivamente per la pesca), propulsori (un congegno atto a scagliare le lance con maggiore efficacia e potenza) e l’arco. Inoltre produceva anche oggetti d’arte, come le formose“veneri paleolitiche” (segno di abbondanza) o piccoli animaletti e oggetti ornamentali, come collane realizzate con conchiglie e denti forati. L’uomo non viveva più in caverne o grotte, ma iniziò a costruirsi delle vere e proprie capanne, come quella di Mezhirich, datata 15 mila anni fa e rinvenuta nel 1965 in Ucraina da un contadino che, scavando per espandere la propria cantina, scoprì una mascella di mammut. La capanna venne costruita con 385 ossa di mammut, ricoperta da pelli e quasi 30 enormi zanne vennero utilizzate come supporti per creare il tetto e il portico. Le migrazioni dell’aplogruppo R1a Le migrazioni dell’aplogruppo R1b Prima dell’arrivo degli indoeuropei nel nord del continente dominava l’aplogruppo I1 (ancora ben radicato presso i guerrieri vichinghi), ma al giorno d’oggi gli europei con questo marcatore genetico discendono tutti da uno stesso antenato, vissuto intorno ai 5000 anni fa, il che lascia supporre un’estinzione di massa. Nell’area centro-meridionale d’Europa, invece, era diffuso l’aplogruppo I2: anche questi popoli mesolitici sono quasi totalmente spariti, tanto che oggi sono concentrati solo in Sardegna e in una piccola area dei Balcani in una variante e in Germania in un’altra variante. Anche l’antico aplogruppo G, tipico dei popoli provenienti dal Caucaso che hanno contribuito alla rivoluzione neolitica in Europa (quello di Otzi, la mummia del Similaun), ha subito un’analoga contrazione durante le invasioni indoeuropee. L’attuale distribuzione degli aplogruppi indoeuropei |