Costruzione di un
valore identitario a partire da una lingua madre formata da 90 parlate o
dialetti diversi: “Identità siciliana. Così è (se vi pare)”. Lo spunto a tale
piano di studio mi fu dato dalla volontà espressa dall’Assessorato Regionale ai
Beni Culturali e all’Identità Siciliana che intendeva fare di tale valore
materia di studio nelle scuole medie, inferiori e superiori. Sapendo bene,
credo, che in merito sono già state promulgate tre leggi ad hoc, tutte e tre
decadute, e la prima risalirebbe al 1958.
Dal libro: “Identità siciliana, così è (se vi pare)” che ho pubblicato nel
2022. “Origini, evoluzioni, influenze sociali e culturali dell’identità e della
lingua siciliana”. “Origini e valore di una lingua “madre” - come si è passati
dai gesti alle parole, dai segni agli alfabeti”.
Cos’è l’identità di una regione o del suo popolo o meglio dei suoi abitanti.
Cosa deve contenere e soprattutto da quale periodo preistorico, protostorico o
storico trarrebbe le sue origini. Parliamo di identità reale oppure percepita? O
meglio, vogliamo capire le ragioni di una identità storica accertata oppure una
identità folclorica che serve solo a creare ilarità nel turista. Ma noi abbiamo
sicuramente la possibilità di aspirare ad una cultura decisamente qualificata e
offrire così un pacchetto turistico innovativo anche di natura esperienziale ove
possibile, sicuramente coinvolgente ed emozionante dal punto di vista sociale e
culturale per alimentare un turismo d’elite sicuramente più produttivo.
Le osservazioni da porre sono tante:
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Cos’è l’identità.
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Come si manifesta.
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Da dove o dove ha origine.
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Cosa concorre a formare l’identità: le peculiarità? Il carretto? Il libro dei
saperi? Le sagre, e le mostre?
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Può incidere il patrimonio, sia esso mobile, artistico o architettonico? I
reperti, le loro letture e interpreta-zioni?
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Possono incidere le parlate locali, i dialetti, le infles-sioni oppure la lingua
più diffusa?
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Potranno aver inciso le varie invasioni e dominazioni che si sono avvicendate in
Sicilia?
Una delle questioni, dibattute solo sulla carta, riguarda le lingue parlate
nella preistoria. Prendo per valido l’ipotetico “urheimat” per mezzo del
quale, in glottologia si intende la patria originale dei locutori di una certa
protolingua ma del tutto ipotetica, come lingua capostipite dell’indoeuropeo
diffusa in una consistente parte dell’Europa, dell’India, dell’altopiano
iranico, in molte regioni dell’Anatolia, dell’Asia centrale e della Cina
occidentale. Parliamo forse della veneranda lingua Sanscrita?
La lingua di un popolo è la sua anima. Rivela ciò che ha perso, ciò
che ha ottenuto, ciò che vorrebbe essere e ciò che invece è. Questa è ormai la
nostra anima che ha accolto, diffuso e rimarcato colpe e paure che non conosceva
e da cui è stata letteralmente invasa con le armi dell'assolutismo mediatico.
Le lingue costituiscono "anime senza confini e senza delimitazioni, sono
riflessi dell'infinito" ha scritto Claude Hagége in un saggio dal titolo "Morte
e rinascita delle lingue" (Feltrinelli). Le lingue, o la lingua in senso più
generale, è patrimonio di civiltà, è il patrimonio identitario di un popolo.
La letteratura è lingua. La lingua crea i vari linguaggi. Soprattutto nel Sud
(terre di frontiera o di confine con il mare) questa realtà si presenta con
delle forti caratterizzazioni.
Cito Claude Hagége noto linguista francese con specializzazioni che
spaziano dall'arabo al cinese e dall'ebraico al russo che sottolinea ancora: "Le
lingue non consentono solo di parlare o di scrivere per rappresentare, ben oltre
la nostra scomparsa fisica, la nostra storia, ma la contengono”. Tutti i
filologi, o tutte le persone che nutrono curiosità per le lingue, sanno che in
esse si depositano tesori che raccontano l'evolu-zione della società e le
avventure degli individui. La lingua è un patrimonio e come tale è un bene
culturale non solo depositato ma soprattutto in costante dive-nire.
Le espressioni idiomatiche, le parole composte hanno un passato che mette in
scena personaggi viventi. La storia delle parole riflette quella delle idee. Se
le società non muoiono non è solo grazie agli storici e ai narratori ufficiali,
ma anche grazie al fatto che possiedono delle lingue, e dalle lingue sono
narrate". la lingua è dentro la storia culturale dei popoli.
È dunque un’identità come risultante di processi di integrazione di ceppi
nuovi su tronchi antichi? E la Sicilia, proprio per questo motivo, ha sviluppato
un’attitudine all’integrazione stupefacente che riesce a coinvolgere, nell’arco
di pochi anni, in un unico destino il rapporto, che dovrebbe essere
conflittuale, fra dominanti e dominati.
L’identità siciliana sarebbe dunque, sedimentazione di tante identità che
esprimono un sincretismo (non un semplice incrocio di più elementi ma
convergenza di culture diverse) culturale, forse unico nella storia delle
esperienze dell’Occidente ma che va indagato nelle sue probabili origini nel
lontano Oriente.
La prima cosa che viene in mente è la lingua materna con cui si cresce, in
secondo luogo gli ambiti culturali che discendono dalla tradizione propria di
quel popolo.
L’identità è un concetto complesso, e non sempre chiaramente compreso. Almeno
nella sua natura intrinseca. Spesso per identità si intende quel retaggio
‘popolare’ che si manifesta in modi e forme di folklore lontanissime
dall’identità culturale vera di un popolo. L’identità è razionalità,
conoscenza”.
Lingua e cultura vanno sempre di pari passo. Nel nostro caso ha “parlato”
prima la cultura insita nei reperti e poi la lingua tramandata a mezzo di essi.
Gli eventi indiscussi: Si può chiudere un ciclo, un’epoca, uno spazio di tempo
dotato di particolari caratteristiche, non certo il valore dell’identità.
Se vero, come è vero, perché oggi ben documentato, le corrispondenze tra
lingua siciliana, siculo e sanscrito sono ormai cosa certa, dobbiamo accettare,
approfondire, istruire percorsi per scoprire culture e civiltà che i Sikani,
come i Siculi, hanno attraversato per giungere in Sicilia. Riscrivere
un’identità siciliana? No, semplicemente aggiornarla, ampliarla e renderla
finalmente completa.
C’è un filo logico che bisogna percorrere a ritroso nel tempo per capire la
correlazione con le civiltà che si sono succedute e che solo in parte
conosciamo. Partire dalla più antica conosciuta, Stentinello, non ci da’
assolutamente l’idea delle nostre origini; vista così sembrerebbe che queste
genti fossero di natura indigena o autoctona. La domanda è: Li ha portati la
cicogna? Niente di tutto questo, per cercare di capire dobbiamo fare un
ulteriore salto indietro nel tempo e vagliare certe costruzioni chiamate SESI di
cui parle-remo approfonditamente.
Nella storiografia greca vi era un riconoscimento dell’importanza identitaria
del racconto mitico quale contenitore del passato, la stessa “oralità
dialettica” propria dei filosofi presocratici e della scienza ionica nel creare,
nella cultura greca, una nuova forma di oralità, permetteva una ulteriore
riflessione e approfondimento identitario, il passaggio dalla civiltà orale a
quella scritta fa emergere la ricerca delle testimonianze e la loro valutazione
critica sui fatti ritenuti degni per unicità ed eccezionalità ad essere
ricordati, quali specchio di un mutamento in cui tuttavia si riconosceva nel
“ciclo delle cose umane” (Erodoto, I, 207) il persistere di una identità,
sebbene in balia del caso.
Scrive Giuseppe Voza in Sikanie, Garzanti 1986:
“Dall’età neolitica, fino al periodo della colonizzazione storica, la Sicilia
è terra di arrivo di impulsi culturali provenienti dal Mediterraneo orientale.
La Siria settentrionale, l’Anatolia meridionale e la Mezzaluna fertile
rappresentano le aree dalle quali le più antiche culture neolitiche si
irradiarono attraverso l’Egeo e il Mediterraneo raggiungendo le coste della
penisola balcanica, dell’Italia continentale, centrale e insulare, dell’Africa
settentrionale fino a raggiungere quelle della Francia e della Spagna.
Quanto alle testimonianze archeologiche, si tratta di una categoria
documentaria che, a ragion veduta, va’ utilizzata con estrema prudenza ai fini
della definizione etnica delle popolazioni della Sicilia. La rivelazione di un
solo archeologo poco vale se non condivisa dalla comunità culturale del ramo.
Condivido il pensiero di Fabio Isman quando scrive, nel suo libro “Alla ricerca
dell’arte perduta” – “I beni culturali sono un grande business mentre la cultura
ad essi attribuita è solo un alibi”. I "tombaroli" e i loro accoliti,
trafficanti ed acquirenti sono certamente degli omicidi: uccidono la Storia;
ammazzano i significati che ogni opera d'arte reca con sé. Cicerone diceva,
degli acquisti o di razzie di statue in Grecia, che "queste cose a Roma perdono
il loro valore"; infatti diventano elementi di arredo o semplici soprammobili.
Come nel caso dei nostri musei isolani. Nota da me condivisa con l’ex assessore
ai Beni Culturali prof. Antonio Purpura quando gli dissi che la nostra attuale
composizione dei nostri musei sembra un cimitero della cultura perché manca la
correlazione con il territorio, con l’identità locale, con la sicilianità e
nell’evoluzione delle parlate locali.
Il prezzo di una collezione di 15 argenti, trovati a Morgantina e finiti in un
primo momento al Met di New York ma in seguito si è deciso che potevano rimanere
nel museo archeologico di Aidone, lievita di 100 volte da chi la rinviene
all'acquirente finale. Come il giro vorticoso di milioni di euro per far
rientrare la famosa Venere di Morgantina in Sicilia. L’unica certezza che
abbiamo su Sikani, Etruschi e Siculi è che si trattava di popoli di provenienza
orientale.
Le sagre, ad esempio, con cui molti paesi della Sicilia propongono l’immagine
dei propri luoghi non sono segni di un’identità, bensì semplici eventi popolari.
Manifestazioni in cui persone si radunano per evasione, dove il cibo è un
pretesto, ma dove non si rintracciano ‘riti’ ancestrali che pur rinnovandosi
caratterizzano un popolo.
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